Quante volte nella mia vita ho inseguito la perfezione: nel lavoro, nelle relazioni, in qualunque cosa mi facesse sentire in linea con quanto richiesto dagli stimoli esterni…
Perché poi essere perfetti? O meglio, cosa succederebbe se ammettessi di non essere perfetta?
Cos’è la perfezione?
Ho fatto una ricerca etimologica: l’origine del termine riporta al latino perfectio, e a sua volta da perficio, ovvero “portare a termine”.
“Perfezione” significa letteralmente “compimento”, ciò che contiene tutte le parti necessarie, ciò che è così buono che niente di simile potrebbe essere migliore, come citava Aristotele.
Ho fatto dunque qualche ulteriore considerazione tra me e me: come sarebbe possibile raggiungere il nostro compimento, diverso per ciascuno, se fossimo tutti come ci viene richiesto, spesso seguendo canoni omologanti?
E ancora: se ognuno di noi può raggiungere tale compimento ovvero la propria perfezione, come può accadere senza che si dia spazio alla propria unicità?
Ovvero, a ciò che non è omologabile perché diverso, molteplice e assolutamente inimitabile.
Le nostre imperfezioni sono ciò che ci porta alla perfezione, al compimento.
Quello che per noi spesso è sinonimo di imperfezione sono, in realtà, le nostre più vere qualità e risorse.
Darmi il permesso di essere imperfetta mi fa essere molto più disponibile ed aperta ad accogliere quello che può portarmi alla realizzazione.
Poter scoprire le “imperfezioni” delle persone che incontro mi porta alla curiosità di schiudere scrigni di pietre preziose.
C’è una crepa in ogni cosa.
E’ da li che entra la luce
(Leonard Cohen)
Questo è affascinante: lasciare che le nostre crepe diventino la nostra luce.